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Testi - La subaquea


L'immersione in apnea
Fisiologia dell'immersione in apnea



Durante l'apnea, e dunque in situazione di sospensione della respirazione, continuano a verificarsi gli scambi gassosi a livello degli alveoli polmonari: la concentrazione dell'ossigeno diminuisce e aumenta quella di anidride carbonica. Nel sangue l'anidride carbonica (CO2) è presente in concentrazione variabile dal 5,1% (sangue arterioso) al 5,8% (sangue venoso), mentre l'ossigeno (O2) varia da concentrazioni del 21% (sangue arterioso) al 15% (sangue venoso).

Al di sotto del 10% la concentrazione di O2 risulterebbe insufficiente a consentire il proseguimento dei processi metabolici (ipossia), con una conseguente condizione di perdita di coscienza (sincope) che, se non interrotta in breve tempo, può condurre a gravissimi danni cerebrali, e infine alla morte.

Altri problemi possono essere causati da un eccessivo aumento della concentrazione di CO2: al di sopra del 7% produce una sensazione di "fame d'aria" seguita da contrazioni diaframmatiche; oltre l'8% ostacola il funzionamento del cuore e diminuisce l'efficienza muscolare e mentale; a livelli superiori al 10-11% provoca perdita di coscienza e blocco respiratorio (sincope ipercapnica) e successivamente arresto cardiaco e quindi la morte. Allo scopo di abbassare la concentrazione di CO2 nei tessuti il subacqueo esegue, soprattutto in fase di recupero, un'adeguata iperventilazione (serie di inspirazioni ed espirazioni profonde). Tuttavia, poiché la diminuzione della concentrazione di O2 anche al di sotto dei valori minimi non viene avvertita dall'organismo, e lo stimolo alla respirazione viene dato solo dall'aumento della CO2, un'eccessiva iperventilazione, che ne abbasserebbe di troppo il valore, è assolutamente da evitare.


Durante la discesa l'aumento della pressione idrostatica (1 bar ogni 10 m) rende necessaria la compensazione della pressione interna delle cavità non naturalmente in contatto con l'esterno: la maschera, che si compensa mediante l'introduzione di aria attraverso il naso onde evitare l'effetto di 'ventosa' sul volto; i seni, frontali e paranasali, che generalmente subiscono una compensazione spontanea; l'orecchio medio. La compensazione dell'orecchio medio, necessaria ad evitare l'introflessione e l'eventuale successiva lacerazione del timpano, è solo da alcuni realizzata spontaneamente, grazie a una particolare conformazione delle tube di Eustachio; nella maggior parte dei casi si ottiene con particolari manovre, utili ad equilibrare gli effetti della pressione sulle due facce della membrana timpanica.

Possono essere sufficienti, per questo scopo, atti di deglutizione o movimenti della mandibola; più efficace è la manovra di Valsalva (espirazione a bocca e naso chiusi), tuttavia poco raccomandabile in quanto comporta un rilevante sforzo espiratorio. La manovra generalmente utilizzata e consigliata è quella descritta da D. Marcante e G. Odaglia, la cui esecuzione non determina alcun aumento della pressione intrapolmonare: si esegue chiudendo il naso e portando la lingua in alto e indietro, provocando così una diminuzione di volume del cavo orofaringeo e un conseguente aumento della pressione nel retrofaringe. Le manovre di compensazione si effettuano generalmente solo durante la discesa: in risalita l'aumento di volume dell'aria nell'orecchio medio è compensata dall'apertura solitamente spontanea delle tube di Eustachio.



 

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